Ero da tempo incuriosita da Isabella Santacroce: avevo letto ciò che aveva scritto di lei Baricco e mi ero convinta che fosse un’autrice di grande talento, ancor prima di aver letto qualche sua opera.
Ho scelto “Amorino” con il criterio che solitamente uso per decidere da quale opera cominciare per un autore per me nuovo: ho selezionato il titolo con il maggior numero di recensioni su Amazon (non necessariamente tutte positive). Purtroppo non si è rivelata una scelta vincente in quanto, durante la lettura, ho scoperto che “Amorino” è il titolo conclusivo di una trilogia e non è proprio l’ideale cominciare a leggere una trilogia dalla fine.
Già i primi capitoli, però, mi sono bastati per capire che Isabella Santacroce non è un’autrice che fa per me e che, almeno per il momento, non sono interessata ad approfondire il resto della trilogia, né a leggere altri suoi testi.
Ho finito il libro a fatica e solo perché, per una questione di principio, difficilmente lascio un libro a metà. volevo inoltre capire se almeno alla fine della storia ci fosse una catarsi o qualche cosa che spiegasse l’assurdità di tutto l’intreccio (tipo che era stato tutto un brutto sogno della stessa Isabella).
“Amorino” è strutturato come un coro: tutti i suoi protagonisti raccontano a turno, in prima persona, gli eventi che li coinvolgono nella cornice di Minster Lovell, un piccolo villaggio inglese.
Tra i principali personaggi troviamo:
- il prete del villaggio, pedofilo e blasfemo (tipico cliché);
- due gemelle trentenni, un po’ dark, molto affascinanti, cannibali, assassine ed anche loro ossessionate dal sesso;
- il medico del villaggio, sadico protagonista di un incestuoso ménage à trois con la moglie e il figlio (ritardato e minorenne);
- la scrittrice Isabella Santacroce, rimasta invischiata nella trama del suo stesso libro mentre è in divenire;
- svariati altri personaggi più o meno rilevanti, anche loro coinvolti in qualche perversione di gruppo con il resto del villaggio.